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Il TAR Basilicata ha annullato gli effetti delle diffide della Regione ad Eni perché a proporre alla Regione l'adozione delle diffide nei confronti della compagnia sarebbe dovuta essere l'autorità di controllo (ARPAB) e non poteva, quindi, la Regione esercitare direttamente il potere. Inoltre, alla Regione si contesta di non aver tenuto conto delle prove di resistenza effettuate dalla compagnia sul secondo serbatoio incriminato, distinto da quello individuato come fonte della perdita, di cui si chiedeva comunque lo svuotamento in quanto privo di doppio fondo. Lo si apprende da un articolo a firma di Leo Amato su "Il Quotidiano di oggi". Dallo stesso articolo, si apprende che l'Eni sarebbe, bontà sua, pronta a rinunciare alla richiesta di risarcimento per il fermo dell'impianto. A me pare di ricordare che, prima ancora che la Regione notificasse la sospensione delle attività, Eni facesse, con gran lena, sapere di aver VOLONTARIAMENTE interrotto il ciclo produttivo per "per rispetto delle posizioni espresse dal territorio, dal Presidente della Regione e dalla Giunta Regionale." (https://www.eni.com/eni-basilicata/home.page). Quindi, se proprio dobbiamo fare gli azzeccagarbugli e non badare alla sostanza (inquinamento conclamato dell'area circostante al COVA, nonché potenziale inquinamento delle falde acquifere) non si capisce perché la compagnia dovrebbe poter aspirare all'ottenimento di un risarcimento se, e questo lo dichiara a chiare lettere la stessa compagnia nel comunicato riportato nel link poco sopra, le attività le ha sospese temporaneamente per propria volontà. Il risarcimento deve chiederlo la Regione a costoro, e pure corposo. Non è più tollerabile farsi mettere la testa sotto le (sei) zampe.
 
Gianni Perrino