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posidonia.jpgLa natura ha la capacità di rigenerarsi e di proteggersi dagli assalti antropici: la posidonia oceanica sembra in grado di filtrare e intrappolare la plastica dispersa in mare.

L’emergenza plastica affligge tutte le acque del pianeta, ma il Mediterraneo ha una differenza fondamentale: essendo un bacino semichiuso, le correnti fanno tornare sulle coste l’80% dei rifiuti con il risultato che su ogni km di litorale se ne accumulano oltre 5 kg al giorno. Un triste record, dovuto a un altro primato: l’Europa è il secondo produttore mondiale di plastica. Segno che in molti casi, non viene smaltita in modo corretto o efficace.
Ambientalisti e studiosi sono incessantemente impegnati nella ricerca di una soluzione per arginare il problema.
Un lavoro della facoltà di scienze della terra dell’Università di Barcellona ha documentato la capacità della posidonia oceanica di filtrare ed intrappolare le plastiche disperse in mare, specialmente nelle aree costiere.
Le osservazioni effettuate hanno portato alla conclusione che le plastiche rimangano intrappolate nelle praterie di posidonia e incorporate in agglomerati fibrosi comunemente chiamati palle di Nettuno. Secondo le analisi si tratta principalmente di filamenti, fibre e frammenti di polimeri più densi dell’acqua di mare, tra cui il polietilentereftalato, il famoso PET, la plastica con cui sono fabbricate le bottiglie e i contenitori per cibo: si è stimato che possano essere intrappolate fino a 1.470 frammenti di plastica per chilogrammo di fibra vegetale.
Vi sarà capitato sicuramente di vederle lungo le spiagge sabbiose o ghiaiose del Mediterraneo, soprattutto dopo le mareggiate.
Questi agglomerati vegetali sono indicati con Il termine scientifico egagropilo o egagropila, sferici o ovali, di colore marrone chiaro e di consistenza feltrosa costituiti dai residui fibrosi di piante dei generi Posidonia e Zostera che si accumulano sui litorali, spinti dalle onde. Comunemente chiamati palle di mare, palle di Nettuno, polpette di mare, patate di mare, kiwi di mare o delile, si formano dallo sfilacciamento dei residui fogliari fibrosi che circondano il rizoma della pianta che, in seguito, si aggregano formando delle sfere.
L’importanza della posidonia oceanica per il benessere degli ecosistemi marini è nota da tempo. È una pianta endemica del Mediterraneo, pianta e non alga, appartenente alla famiglia delle Angiosperme, forma ampie praterie sottomarine su fondali sabbiosi e ghiaiosi che sono l’habitat e il nutrimento per un gran numero di specie di pesci ed invertebrati, in particolare larve e giovani esemplari. Per una crescita ottimale ha bisogno di acque estremamente limpide per cui la sua presenza è un chiaro segno della buona qualità delle acque e per questo è considerata un bioindicatore.
La posidonia ha una struttura costituita da un fusto modificato, il rizoma, dal quale crescono radici e foglie. Quando le foglie cadono, le sue basi, i baccelli, vengono inglobati nel rizoma e, a causa dell’erosione meccanica dell’acqua, rilasciano progressivamente fibre cellulosiche che si intrecciano fino a formare agglomerati a forma di palla.
Tra i benefici che questo ecosistema offre ci sono la capacità di catturare CO2 dall’atmosfera, di modificare l’acidità dell’acqua e di regolare l’equilibrio ecologico del mare, tanto da essere definita habitat prioritario dalle legislazioni europee internazionali. Svolge un ruolo fondamentale nella modellazione dei processi sedimentari e nella compattazione delle spiagge di sabbia e contribuisce alla difesa dell’erosione costiera attenuando l’impatto delle mareggiate distruttive.
Ma questi scarti vegetali, essendo importanti biomasse ricche di cellulosa, possono diventare risorse ed essere riutilizzate in vari modi a livello industriale e agricolo.
C’è chi ha pensato di poterli riutilizzare in agricoltura come ammendante e fertilizzante o come substrato per l’ortoflorovivaismo, previo compostaggio. Un altro utilizzo intelligente è stato nel settore edilizio con la messa a punto di un pannello isolante ad altissima efficienza termica ed acustica. E ancora, la si è utilizzata per la produzione di carta ecologica sostituendola a una parte di cellulosa arborea normalmente utilizzata nella produzione di carta.
Le principali minacce per le praterie di posidonia oceanica sono le costruzioni marittime, l’inquinamento delle acque costiere, l’ancoraggio e le spiagge artificiali.
Il suo declino è aggravato dalla sua crescita molto lenta (circa 2 cm l’anno) per cui ogni perdita diventa irreversibile.
L’impatto inquinante della plastica prodotto dall’attività antropica è un grave problema ambientale che colpisce gli ecosistemi costieri e oceanici di tutto il pianeta. Da quando è iniziata la produzione di massa di plastiche negli anni ’50, questi materiali sintetici si sono accumulati negli oceani e i fondali marini sono diventati il punto di raccolta finale per le microplastiche trasportate dalle correnti oceaniche, dal vento e dalle onde: la plastica che vediamo galleggiare è solo una piccola parte di ciò che abbiamo scaricato nell’ambiente marino.
La migliore strategia di protezione ambientale per mantenere gli oceani liberi dalle plastiche è ridurne lo scarico e l’abbandono in natura, un’azione che richiede di limitare drasticamente il loro utilizzo da parte della popolazione.
Un nuovo esempio di come la natura cerca di porre rimedio ai danni dell’uomo.

Matteo Lai

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