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In questi ultimi giorni un grigio e pericoloso clandestino è salito a bordo della discussione del disegno di legge finanziaria per riproporre egoisticamente la disunità della Nazione.
Nell’elenco dei collegati alla manovra di bilancio 2022-2024 è comparsa furtiva l’insidia dell’autonomia differenziata.

Infatti, nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (DEF), il Governo ha inserito un elenco di collegati e tra questi il disegno legge dal titolo: “Disposizioni per l’attuazione della autonomia differenziata di cui all’art. 116, comma 3, della Costituzione”.
È la caparbia riesumazione di un progetto divisivo, rimasto in obbligata quiescenza, voluto dai rappresentanti delle Regioni forti del Paese e finalizzato ad ottenere risorse pubbliche maggiori mediante trattenute su quote di gettito dei tributi dovuti. Indifferenti al dettato costituzionale della unità e della indivisibilità della Repubblica, continua il tentativo di violare il principio costituzionale affermante che l’attribuzione di risorse e di funzioni ad alcune Regioni non può prescindere dal rispetto dell'equilibrio perequativo tra tutte le Regioni italiane.
Si è in presenza, con molta probabilità, della nefasta riedizione del sovranismo regionale che sembrava abbandonato dai suoi stessi proponenti. Ma i “ruminanti” dei privilegi territoriali, avvertitidei disagi da Covid delle loro popolazioni, hanno rilanciato con ritrovata energia politica il loro progetto di secessione.
L’imprevedibile rilancio di tale posizione ha trovato impreparato e spiazzato il Parlamento italiano che non ha rilevato la immoralità politica e sociale di tale estremo tentativo.
È una decisione indifendibile, se il nuovo disegno di legge dovesse contenere gli stessi principi del precedente, che va combattuta e neutralizzata perché non tiene conto delle seguenti insuperabili circostanze:

negli anni le Regioni del Mezzogiorno sono state penalizzate da un sistema che ha finito per portare una quota maggiore di risorse al Nord, complice una classe politica più o meno indifferente che lo ha permesso. Uno “scippo” realizzato attraverso i trasferimenti basati essenzialmente sulla spesa storica che ha cristallizzato le differenze tra le due Italie e ridotto lo spazio della perequazione;
ad una popolazione del Sud, pari al 34,3%, gli investimenti ordinari delle amministrazioni pubbliche sono stati pari al 28%, mentre al 65,7% di popolazione del Nord è andato il 71,7% di investimenti. Questa differenza di circa il 6% corrisponde ad una perdita per il Mezzogiorno di 61 miliardi di euro l'anno;
un documento della Ragioneria Generale dello Stato ha segnalato le criticità che permangono nell'attuazione del federalismo fiscale in termini di Livelli essenziali delle prestazioni (LEP), di fabbisogni standard e di indicatori di fabbisogno infrastrutturale;
i rappresentanti della Corte dei Conti, auditi in commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, hanno denunciato la mancata attuazione della legge delega del 2009 che è il cuore del federalismo fiscale. Infatti, tale omissione non ha potuto assicurare una autonomia di entrata e di spesa a garanzia dei principi di solidarietà e di coesione sociale in modo da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica, fattore di inaccettabili distorsioni in danno del Mezzogiorno d’Italia. La mancata attuazione della richiamata legge ha impedito anche l’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull’intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) riguardanti i diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali degli enti pubblici;
la commissione di esperti (commissione Caravita) nominata dalla Ministra agli Affari Regionali, On. Maria Stella Gelmini, ribadendo che l’impianto generale scelto dalla Costituzione per il riconoscimento della autonomia differenziata dovrà essere uguale per tutti, ha giudicato le pretese in atto inaccettabili ed impraticabili;
la stessa legge di bilancio, rispettando dopo vent’anni il dettato costituzionale, ha riconosciuto quale principio insuperabile di garanzia dei diritti di cittadinanza da Nord a Sud e quale precondizione della redistribuzione delle risorse tra Regioni la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP);
l’autonomia differenziata, ritenuta dai Governatori delle Regioni forti del Paese come la madre di tutte le battaglie, stride con l'attuale situazione politica che ha affrontato finalmente il tema del superamento delle diseguaglianze tra Nord e Sud e, in attuazione del Next Generation EU, ha cominciato a demolire il muro invisibile che divide il Mezzogiorno dal resto del Paese. Nell’attuale contesto storico, infatti, è principalmente l’Europa a non volere l’autonomia differenziata e a spingere perché si attuino politiche di coesione e di integrazione che mettano al centro il Mezzogiorno, al fine di erodere il pesante divario esistente di reddito pro-capite;
lo stesso Presidente Mario Draghi, nella premessa al PNRR, nel garantire “il 40% circa delle risorse territorializzabili al Mezzogiorno”, ha affermato che ciò è “la testimonianza dell'attenzione al tema del riequilibrio territoriale”. Infatti, il PNRR vuole accompagnare una nuova stagione di convergenza tra Sud e Centro-Nord della Nazione e costituisce una occasione imperdibile per il rilancio del Mezzogiorno e per la ripresa del suddetto processo di integrazione con le aree più sviluppate del Paese;
l’autonomia differenziata, così come proposta nel precedente dispositivo, non attua l’auspicato federalismo costituzionale ma il federalismo regionalizzato, non equo e solidale, seminatore di conflittualità e ostile alla necessaria ricomposizione economica e sociale tra i territori della Repubblica. Questo federalismo regionalizzato è una soluzione scellerata perché riproporrebbe con cinismo il sistema squilibrato tra Nord e Sud;
l’inserimento del disegno di legge sull’autonomia differenziata tra i collegati alla manovra finanziaria rappresenta la solenne smentita dei buoni propositi “meridionalistici” dell’attuale Governo nazionale e uno spregiudicato furto di democrazia. Infatti, tale “sottile” scelta impedisce, a norma dell’art. 75, comma 2, della Costituzione, l’eventuale ricorso dei cittadini allo strumento del referendum abrogativo e tende a soffocare il dibattito nelle aule parlamentari in quanto la possibilità di emendare in aula un testo collegato alla legge di bilancio risulta fortemente limitata dai Regolamenti di Camera e Senato.

In definitiva quello che più inquieta è l'idea che si possa disporre autonomamente della parte maggiore possibile del proprio gettito fiscale generato, mettendo in secondo piano i principi costituzionali di eguaglianza fra tutti i cittadini. Così come rapportare il finanziamento dei servizi al gettito fiscale significa stabilire un principio estremamente corrosivo in quanto i diritti di cittadinanza, a cominciare dalla istruzione e dalla salute, possono essere diversi tra i cittadini italiani, maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto.
Poiché questo raggiro legislativo è stato avvolto da intenzionali fumogeni per impedirne la pubblica conoscenza, il presente documento vuole denunciare questo mimetizzato passaggio procedurale inserito cinicamente nella manovra di bilancio e pronto per l’approvazione in Parlamento.
In conclusione, la denunciata e inquietante propostasi pone in palese contraddizione con la affermata volontà di superare lo storico squilibrio territoriale del nostro Paese e si rivela portatrice di una virale aggressione al principio costituzionale della democrazia partecipata.
Con tale spirito facciamo appello alle coscienze libere della Nazione, donne e uomini d’Italia, ai rappresentanti delle istituzioni repubblicane e delle comunità nazionali presenti in Parlamento, nelle Regioni e negli enti locali, alle espressioni del mondo delle imprese e del lavoro, perché aderiscano al presente documento, diventino apostoli della fondata denuncia e protagonisti di un movimento di aggregazione e di lotta talmente numeroso da divenire autorevole contraddittore di una scelta politica così perniciosa per il futuro del Mezzogiorno e della stessa Italia.